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Obesità: quando l'assunzione di cibo da attività ludica diventa patologica

L’obesità è una malattia cronica corrispondente a un eccesso di massa grassa, che ha conseguenze dannose sulla salute delle persone. Ha un’eziologia multifattoriale: è legata a fattori genetici, metabolici, psichici e sociali che condizionano e sostengono il quadro clinico.


La condizione di obesità può essere definita in base al calcolo dell’indice di massa corporea (BMI= peso/altezza2 con peso in kg e altezza in metri). Con un BMI ≥ 30 KG/m2 si è in condizione di obesità. Le complicazioni legate all’obesità riguardano l’apparato respiratorio, cardiovascolare, con importanti limitazioni anche sul piano della mobilità articolare oltre che sul piano sociale e psicologico.


Il tema dell’obesità è quanto mai attuale e le spese sostenute per ridurre gli effetti sono diventate ormai di rilievo, questo è dato anche dal fatto che si continua ad intervenire su questa particolare condizione unicamente dal punto di vista nutrizionale, tralasciando invece gli aspetti psicologici che vi sono implicati.


Nella società occidentale dei nostri giorni, l’assunzione di cibo non è più legata al semplice scopo di nutrirsi per sopperire bisogni fisiologici primari, bensì l’alimentazione ha assunto connotazioni molto diverse, è legata a scopi ricreativi, ludici e molto spesso viene utilizzata in maniera impulsiva per far fronte a stati emotivi disfunzionali dati ad esempio da ansia o depressione o per alleviare lo stress.


Fin dall’infanzia, il cibo viene associato a forme di premio, si apprende quindi ad utilizzarlo per scopi anche diversi rispetto alla mera soppressione della fame, il cibo così assume una componente simbolica, ad esso sono associate diverse emozioni. Questo modus operandi risulta però disfunzionale, poiché può comportare un eccesso di introito calorico con conseguenza dell’aumento del peso ponderale comportando difficoltà alla persona che ne soffre anche sul piano sociale, relazionale e spesso anche lavorativo.


Gli stili alimentari delle persone obese, possono essere visti lungo un continuum che parte da condotte non patologiche, fino a veri e propri disturbi alimentari. Tra le condotte alimentari non patologiche che comportano e che mantengono lo stato di obesità troviamo:


  • Grazing: ovvero una masticazione continua, dovuta ad una serie di spuntini a base di cibi grassi e dolciumi. Tra i vari alimenti assunti in questa condotta alimentare troviamo ad esempio molti snack calorici che vengono esposti in vista nei vari supermercati. I dolciumi hanno effetto di sollievo su stress ed umore negativo.

  • Iperfagia prandiale: consiste in un’alimentazione eccessiva, a pasto o fuori pasto, in maniera consapevole, e ciò la distingue dalle abbuffate patologiche di cui parlerò in seguito.

  • Salto dei pasti: è una condotta utilizzata occasionalmente dalle persone obese, che tentano di controllare il peso, che però non risulta funzionale, in quanto fa giungere al pasto successivo con ancora più fame, introducendo così calorie in eccesso.


Per quanto riguarda invece una condotta alimentare patologica in cui l’obesità molto spesso può presentarsi come conseguenza, è quella delle abbuffate, caratteristiche del Binge Eating Disorder (disturbo da alimentazione incontrollata). Il BED rientra tra i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, categoria presente nel DSM-5. Gli episodi di abbuffata consistono in un’ ingestione di cibo smisurata, che avviene in solitudine e sono seguite da forte senso di colpa, imbarazzo e forte perplessità sul mutamento del proprio fisico da parte della persona.


Queste sono modalità di consumare alimenti che possono comportare obesità, in particolare se la persona non svolge attività fisica, che consente di consumare calorie ed è geneticamente predisposto all’obesità, questa infatti ha un’importante componente ereditaria. Le ricerche riportano infatti come i fattori genetici siano responsabili in almeno il 70% dei casi.



Il cibo ha importanti effetti neurobiologici. In particolare, lo “junk food” (cibo spazzatura) stimolerebbe il sistema di ricompensa nel nostro cervello, provocando sensazione di benessere esattamente come succede con l’assunzione di alcune sostanze stupefacenti. Il cibo spazzatura, ovvero tutto quel cibo ad alto contenuto calorico, attivando il sistema di ricompensa fa sì che venga rilasciato il neurotrasmettitore dopamina che consente di provare piacere. Il cibo spazzatura, provocando un rilascio notevole di dopamina rispetto ad alimenti maggiormente salutari e con ridotto contenuto calorico fa sì che il nostro cervello percepisca uno squilibrio e ne rimuova i recettori per riportare l’omeostasi. La persona per provare il medesimo livello di piacere, dovrà necessariamente mangiare maggiori quantitativi di cibi calorici, la conseguenza di questo comportamento sarà quindi, in chi è predisposto, l’aumento di peso.


Il cibo può diventare una strategia di coping disfunzionale per sopperire ad alcuni stati emotivi negativi come potrebbero essere ansia, depressione e stress.


Secondo le ricerche, più del 90% delle persone in sovrappeso finisce per autocommiserarsi perché non riesce a mantenere il peso perduto a seguito di una dieta: dopo un iniziale entusiastico successo, il peso perduto viene recuperato, esponendo la persona a vivere questa situazione come un fallimento personale. Le diete, in particolare, espongono al rischio di quella che viene definita “sindrome dello yo-yo” ovvero fasi alterne di aumento e perdita di peso. Regimi alimentari eccessivamente restrittivi inducono ad un circolo vizioso: da un’eccessiva restrizione alimentare, si passa inevitabilmente ad una perdita di controllo sull’alimentazione. Questo genera senso di colpa e frustrazione nella persona che ritenterà di fronteggiare il problema ripetendo la restrizione alimentare. Da questo si evince come mente e corpo non sono entità separate e vi è necessità di intervenire su entrambi i fronti per risolvere questa problematica.


Le linee guida riportano come sia fondamentale un trattamento di tipo multidisciplinare per il trattamento dell’obesità che coinvolga diverse figure professionali, tra cui lo psicologo. Tuttavia, i tentativi di cura dell’obesità risentono ancora di una notevole impronta di tipo medico/chirurgica ed il ruolo dello psicologo resta mal definito in quest’ambito. Il lavoro dello psicologo viene limitato in particolare nella fase di valutazione, come avviene ad esempio nella fase pre operatoria per i pazienti candidati alla chirurgia bariatrica. I dati in letteratura riportano inoltre come siano coinvolti importanti processi cognitivi che influenzano la perdita di peso ed il suo mantenimento, tali processi influenzano in particolare la capacità di mantenere uno stile di vita attivo ed un’alimentazione caratterizzata da alimenti salutari. Si evince come fare leva solo sulla forza di volontà della persona, nel processo della perdita di peso non risulta sufficiente e può condurre a stati di profondo malessere emotivo.


Risulta quindi riduttivo la sola educazione alimentare per promuovere l’importanza di un’alimentazione sana o la sola motivazione a svolgere attività fisica quotidiana, vi è necessità quindi di integrare l’intervento con la psicoterapia per poter gestire al meglio e sul lungo termine, questa problematica.


 
 
 

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